IL PRETORE Il ricorrente, Guerri Orfeo, e' titolare di pensione di cieco parziale; egli aveva inoltrato domanda per il riconoscimento della invalidita' civile e la corresponsione dell'assegno di accompagnamento, e nella fase amministrativa, in seconda istanza, gli e' stata riconosciuta una invalidita' rapportata all'80% che non gli da' titolo ad alcuna provvidenza per ragioni di reddito incompatibile (ne' gli conferisce il diritto all'accompagnamento perche' non raggiunge il 100% di invalidita'). Egli, tuttavia, ritiene di aver diritto al riconoscimento di una invalidita' assoluta (100%) determinata oltre che da altre gravi patologie anche dalla cecita'; la c.t.u., disposta nel corso del giudizio, ha accertato (senza contestazioni ad opera di nessuna delle parti) che il Guerri sarebbe da ritenere invalido al 100% con diritto all'accompagnamento se si tenesse conto anche della cecita'. Ed invero, in sede di prima deliberazione, la stessa amministrazione aveva ritenuto una invalidita' al 100% considerando pure la cecita'. La controversia, dunque, e' tutta sulla computabilita' o meno, ai limitati fini dell'assegno di accompagnamento, della cecita' (che ha gia' dato titolo ad una prestazione, come cieco parziale). La valutazione ermeneutica della normativa applicabile non offre spazio alle ragioni del ricorrente. Egli non ha titolo all'accompagnamento come cieco perche' cieco parziale e non ha titolo all'accompagnamento come invalido perche' invalido parziale; in tal senso rileva il disposto dell'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, che al fine di individuare i titolari dell'indennita' di accompagnamento rinvia, quanto ai presupposti medico-legali, a quelli contenuti nella definizione dell'invalido civile (primo comma); a sua volta l'art. 2 della legge n. 118/1971 nell'enunciare la definizione normativa dell'invalido civile, al secondo comma esclude che ai fini del riconoscimento dello status di invalido possano rilevare ragioni di invalidita' che autonomamente diano titolo ad una prestazione diversa (ciechi, invalidi per lavoro o servizio, ecc.). E poiche' il nostro gode gia' di una pensione per essere cieco parziale, non avrebbe titolo all'indennita' di accompagnamento, nonostante le sue condizioni fisiche (v. c.t.u.) nel loro complesso siano tali da impedirgli di accudire agli ordinari bisogni della vita. La descritta situazione evidenzia una clamorosa disparita' di trattamento fra soggetti egualmente meritevoli di tutela, sol che si pensi che l'assegno competerebbe all'invalido al 100% se concorressero a quantificare tale invalidita' patologie prive di tutela autonoma (come la cecita'), mentre nell'ipotesi inversa (e come quella di specie) il soggetto impossibilitato a provvedere ai normali bisogni della vita perche' tale in ragione del cumulo di piu' patologie fra le quali una autonomamente rilevante ai fini di una prestazione assistenziale, rimarrebbe privo di una consistente provvidenza patrimoniale. Conti alla mano se il nostro invece che essere cieco parziale avesse, oltre alle altre patologie poste a base per la invalidita' all'80%, una ulteriore e diversa (dalla cecita') che gli consentisse di raggiungere il 100%, godrebbe della pensione di invalidita' e dell'assegno di accompagnamento per un totale di circa 800.000 lire mensili; il nostro, che ha una complessiva invalidita' del 100%, per essere titolare di una modesta pensione di cieco parziale, si contenta di una provvidenza pari a 250.000 mensili (quale e' l'assegno ai ciechi parziali) e non ha diritto ad altro, pur trovandosi nella medesima condizione fisica del (si fa per dire) piu' fortunato soggetto posto come primo termine di paragone. E' dunque evidente a parere di questo giudice la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 della legge 11 febbraio 1980 e 2 della legge 30 marzo 1971, n. 118, nella parte in cui non consentono la percezione dell'indennita' di accompagnamento prevista dalla legge n. 18/1980 al cieco parziale titolare di pensione ed anche invalido civile all'80%, posto che la complessiva invalidita' (valutata anche la cecita') lo rende del tutto inabile a compiere gli atti quotidiani della vita, con riferimento agli artt. 2, 3 e 38 della Costituzione. La rilevanza della questione e' in re ipsa.